domenica 20 aprile 2014

ASSALTO ZOMBI AGLI ANNI OTTANTA (di STEFANO FELTRI)

DODICI
Arrivato al quinto libro e sfondato il muro delle centomila copie, ora ormai non ci sono più dubbi: ZEROCALCARE, che qualcuno conosce anche come  MICHELE RECH, è l'autore italiano di maggior successo.

Solo i FUMETTI popolari da edicola vendono ( forse ) più dei suoi volumi, forti di una base di lettori costruita negli anni sul web con ZEROCALCARE.IT. dove le tavole del fumettista DI Rebibbia (un quartiere di Roma, quello con il carcere e un Mammoth, come scoprirete leggendo) sono gratis: perché ZEROCALCARE mantiene un'etica da artista di strada, cresciuto nei centri sociali, restio a diventare un super star, per quanto FUMETTISTICA.
Ma è anche consapevole del suo momento, gode di una popolarità ormai superiore perfino a quella del suo mentore MAKKOX e del più applaudito FUMETTISTA Italiano vivente, cioè GIPI (tutti e tre firmano con pseudonimi, forse è la premessa del successo).

Qualche mese fa era uscito OGNI MALEDETTO LUNEDI SU DUE, una raccolta di tavole del blog. Ora BAO pubblica DODICI racconto lungo o romanzo breve. Il precedente graphic novel, UN POLPO ALLA GOLA, soffriva un po' la narrazione dilatata. ZEROCALCARE funziona meglio nel guizzo, nell'istantanea.

DODICI è una via di mezzo efficace. ma soprattutto è un meta FUMETTO che evoca un altro FUMETTO per parlare di personaggi con un immaginario pieno di altri FUMETTI ancora. Un pastiche di influenze pop (o meglio ormai vintage) che omaggia THE WALKING DEAD portando gli zombi a Rebibbia, ma con l'intero campionario di icone anni ottanta di ZEROCALCARE; da HE MAN a KEN il guerriero a Street fighter in un declino di citazionismo con montaggio alternato su diversi piani temporali.
E scandito come una punta del serial 24, ma in versione più breve. DODICI appunto

A MICHELE RECH riesce una cosa che di solito pare impossibile per gli autori Italiani: trasformare le proprie (spesso insignificanti) esperienze di vita in un racconto collettivo, cogliere lo spirito del tempo (e dei luoghi) senza diventare didascalici e prevedibili, usando videogiochi, FUMETTI, telefim e perfino merendine ( il grande mistero di DODICI  riguarda il SOLDINO MULINO BIANCO) PER COSTRUIRE UNA CULTURA CONDIVISA, UN RACCONTO DEL PRESENTE ATTRAVERSO I MITI DI UN RECENTE PASSATO

domenica 13 aprile 2014

LONTANO DA TUTTO PER RITROVARSI (di STEFANO FELTRI)

FERMO

In questi anni la casa editrice BAO ha portato in libreria saghe del FUMETTO americano, ristampate in buone edizioni a prezzi accessibili. Ma ha anche puntato su autori italiani come ZEROCALCARE, diventando un fenomeno editoriale.

ANTONIO VINCENZI che si firma SUALZO, non è pirotecnico come ZEROCALCARE, di solito disegna storie per ragazzi sulle riviste delle edizioni SAN PAOLO (che soprattutto con il GIORNALINO, hanno creato alcuni dei migliori FUMETTISTI italiani, spesso ingiustamente sotto valutati),

Ma il suo romanzo a FUMETTI "FERMO" riesce a essere originale pur inserendosi in un filone ormai consumato dai graphic novel quello degli "eventi autobiografici molto più rilevanti per l'autore che per il lettore". Negli anni Novanta VINCENTI arriva a Bibbiena, paesino vicino ad AREZZO, per fare il servizio civile. Credeva di finire a catalogare invece si occupa di assistenza sociale, soprattutto di malati di mente spesso più sereni di lui che soffre di attacchi di panico.

Nel tempo libero suona il sax nel bar locale e incontra per caso una compagna di scuola a cui, all'epoca, non rivolgeva neppure la parola. Come capita a quelli che si staccano all'improvviso dalla quotidianità - una volta per il militare o il servizio civile, oggi per un Erasmus o un dottorato all'estero- il protagonista entra in una bolla, dimentica in un attimo tutto quello che prima gli sembrava importante, la famiglia, le ambizioni, la fidanzata.

Con un tratto garbato, colori tenui e una temperatura emotiva volutamente tenuta bassa dal disegno, VINCENTI schiva i cliché del romanzo di formazione: il suo personaggio vive i mesi di Bibbiena come un'esperienza fondamentale, ne emerge diverso, forse migliore. Ma più confuso di prima sulla direzione della sua vita (anche se ricomincia a disegnare FUMETTI, inizio di una carriera), senza più la fidanzata e chiudendo in modo crudele la storia che aveva iniziato a Bibbiena.

E noi che leggiamo la sua storia, con un po' di voyeurismo, proviamo un leggero fastidio. Dov'è il lieto fine? qual era il senso delle pagine che abbiamo letto? dov'è il senso morale? ma solo le autobiografie fasulle hanno risposte a queste domande, quelle oneste non hanno la pretesa di diventare romanzi.

 

venerdì 4 aprile 2014

L'ORRORE PERFETTO DI RCHARD CORBEN (di STEFANO FELTRI)

RAGEMOOR

RICHARD CORBEN è un mostro del FUMETTO uno di quei pochissimi autori a cui si può affidare qualunque cosa e il risultato sarà sempre al di là di ogni aspettativa. Sarà il genio, sarà l'esperienza di uno che a settant'anni e con una fama mondiale continua a permettersi l'etichetta di FUMETTISTA "UNDERGROUND", qualunque cosa voglia dire. Di sicuro non è incasellabile, riducibile a una moda artistica o a una corrente.

Ha lavorato per il mercato francese con METAL HURLANT, con MOEBIUS, ma anche con i super eroi americani, ha fatto racconti e romanzi a FUMETTI, ha prodotto una sconvolgente versione a FUMETTI della Genesi (sconvolgente perché letterale, con una dose di sesso e violenza che nelle sezioni del testo che vengono fatte in chiesa di solito viene omessa).

"RAGEMOOR" (MAGIC PRESS) in mano a un altro FUMETTISTA non avrebbe avuto senso: è la storia di un castello vivente-- la versione demoniaca dell'HOWGRATS di HARRY POTTER--che di notte si sveglia, distrugge scale, crea corridoi, apre voragini sotto i piedi degli ospiti sgraditi e impone la sua "volontà" sugli abitanti che ne sono prigionieri.

E quell'horror alla H.P. LOVERCRAFT che nei romanzi si alimenta di aggettivi come "indicibile", "incompressibile" e di lingue tanto morte quanto inventate, piene di consonanti. Con la sceneggiatura de suo storico collaboratore JAN STRNAD, CORBEN trasforma un pretesto narrativo un po' sterile in un terrificante delirio in bianco e nero, dove sono le ombre e non la luce a definire personaggi ed eventi, in cui il passaggio dalle ambiguità delle prime pagine (ma davvero il castello di RAGEMOOR è vivo?) agli orrori del finale è rapido e disturbante, la degradazione morale del protagonista, l'erede del castello, prescinde dagli elementi soprannaturali, in fondo è una scelta. Il fatto che a un certo punto si scopra che la servitù è fatta da insetti e che nei sotterranei vengono allevate scimmie assassine non sembra assur5do, ma una conseguenza quasi necessaria del degrado morale.